mercoledì 26 settembre 2012

Filosofia spiccia


Oggi e ancora solo per oggi, voglio condividere con voi e con i lettori, quelli che sono i pensieri e le riflessioni nate dalla lettura dell’editoriale del Menestrello numero tre, scritto sempre con molta chiarezza e dolcezza, dal Dottor Miozzari.

Vorrei sondare quello che è il campo della Filosofia della Matrice Divina passata, con quella che sta per giungere ai giorni nostri e sarà il Fondamento di ogni Cultura del Pianeta.

Tuffiamoci nel Passato: Socrate, Platone, Parmenide e tutti gli altri. Voglio mettere queste filosofie a confronto, per vedere quale Saggezza portano Tutte e quale potere hanno ancora a livello di collettività come Coscienza. .
Li metterò in ordine cronologico, secondo le informazioni raccolte, ne guarderò attentamente i contenuti. Infine, vi dirò cosa pare chiaro e semplice e cosa invece rimane inespresso di tali filosofie.
Saranno diventate almeno Teorie o sono rimaste chimere che nessuno ha mai ha messo in pratica per farne esperienza diretta e dunque Verità? Ve lo dirò alla fine…

ll primo teorico dell'identità di essere e linguaggio è Eraclito di Efeso (550-480 circa a.C.) il quale attribuisce al nome logos, una triplice realtà di legge-armonia, parola-discorso, pensiero-ragione.
Sembra infatti che possa attribuirsi a Eraclito un significato del logos come "legge universale" che regola secondo ragione e necessità tutte le cose:
« Nessuna cosa avviene per caso ma tutto secondo logos e necessità. »

  • l'omonimia, con cui chiamiamo cose diverse con lo stesso nome, dimostra che se il nome è unico dovrebbe esserci anche un'unica essenza per molteplici cose: il che è assurdo;
  • la polionimia, per cui la stessa cosa ha nomi diversi: secondo la tesi naturalistica la stessa cosa dovrebbe avere una molteplicità di essenze: il che non è possibile;
  • Se poi il nome causasse conoscenza vera non sarebbe possibile, come accade, che gli uomini comunichino in maniera efficace, accordandosi nel cambiare i nomi delle cose;
  • e infine esistono cose che non hanno nome eppure sono reali: il che vuol dire che non esiste coincidenza tra nome e realtà.
  • naturale poiché esiste in natura una reale corrispondenza dei nomi alla realtà, ma anche
  • convenzionale perché il linguaggio non è di per sé conoscenza ma strumento per il sapere per cui noi ci dovremo preoccupare della correttezza dei nomi, non per una vera denominazione dell'essenza della cosa nominata, ma per il loro uso ai fini della conoscenza.
  • Così si comportarono coloro che per primi attribuirono dei nomi alle cose: l'etimologia infatti dimostra che i nomi venivano assegnati dagli antichi in base alle loro soggettive opinioni e non per rispecchiare una presunta oggettiva realtà essenziale. Il linguaggio pur essendo soggettivo e contingente assolve comunque la sua funzione essenziale: quella della comunicazione.
  • Fisiche e psichiche, coincidenti con lo sviluppo dell'individuo umano;
  • Comunicative, individuali e sociali;
  • Espressive, nell'arte e nella retorica;
  • Didattiche, poiché diffonde saperi;
  • Logiche, come strumento per dimostrazioni rigorose e ordinate.
  • segno, l'espressione di un suono, al quale per convenzione si attribuisce un
  • significato, che è naturale perché rappresenta un concetto su cui concordano tutti quelli che, pur nei diversi linguaggi, lo associano in modo necessario a un
  • oggetto, sempre lo stesso ma che sarà espresso in diverse forme linguistiche.
  • La definizione di segno.
  • Lo studio della comunicazione, dei suoi limiti e dei suoi equivoci.
  • Le basi neurali e naturali della lingua e della semiosi.
A questo proposito si sono formati i concetti di formatività del linguaggio, arbitrarietà radicale, corporeità, categorizzazione.
  • la pragmatica studia il linguaggio in rapporto all'uso che ne fa il parlante;
  • la semantica considera il rapporto tra l'espressione e la realtà extralinguistica;
  • la sintassi studia le relazioni che intercorrono tra gli elementi dell'espressione linguistica. Campo semantico è un insieme di termini che hanno in comune un fattore semantico.

Inteso come legge, il logos mantiene l'armonia nel cosmo. Nel continuo incessante divenire il logos permette la visione di un mondo ordinato; la forza che fa comprendere il continuo mutamento dei contrari è il logos che tutto penetra. Gli uomini vivono per lo più come in un sogno, incapaci di vedere la ragione nascosta nelle cose: solo il filosofo con il logos, il pensiero-ragione, è in grado di attingere la verità.

Parmeide:
Secondo il filosofo di Elea non si può nominare e pensare altro che l'essere immutabile e perfetto. L'Essere Parmenideo appare chiuso al non-essere: poiché è impossibile che dal nulla nasca qualche cosa ed è impossibile che qualche cosa diventi nulla.

Democrito:
Nella sua distinzione tra qualità oggettive e soggettive delle cose, Democrito inserisce in quest'ultime i nomi che, pur essendo anch'essi composti di atomi di una struttura particolare, rispondono a una convenzione tra gli uomini come provano:

Il linguaggio è quindi ben diverso dalla realtà ed anche la convenzione è del tutto mutevole e relativa ai tempi e ai luoghi in cui si formano i linguaggi che sono fonti di errore in quanto non si originano da un unico e definitivo accordo tra gli uomini che li renderebbe perfettamente adeguati alle cose.
Socrate:
« Dimmi - chiese Socrate - o Eutidemo, ti è mai capitato di considerare prima d'ora con quanta cura gli dei hanno fornito le cose di cui gli uomini hanno bisogno? [...] e che dire del fatto che sia generato in noi il ragionamento razionale...E che dire del fatto che ci sia stata donata la capacità di farci intendere con le parole»
Platone:
Le idee di Platone sul linguaggio sono riportate nel dialogo del Cratilo (circa 386 a.C.) dove vengono analizzate le posizioni convenzionalistiche di Ermogene opposte a quelle naturalistiche di Cratilo, i due protagonisti del dialogo assieme a Socrate, che critica entrambe le tesi.
Per Ermogene non c'è alcun preciso motivo per cui una cosa abbia il suo nome piuttosto che un altro: gli uomini attribuiscono dei suoni a una cosa per convenzione, tant'è vero che quella stessa cosa potrà avere nomi diversi dai quali noi non potremo mai trarne conoscenza riferita alla cosa stessa.
Per Cratilo il nome è invece sempre precisamente adeguato e sovrapponibile alla cosa e sarà utile per conoscerne gli aspetti principali. I nomi sbagliati non sono veri nomi che sono tali solo se coincidono con le cose nominate.
Platone, rappresentato da Socrate, critica entrambe le posizioni poiché il convenzionalismo con la completa estraneità del nome alla cosa, renderebbe impossibile una conoscenza che si basa sul linguaggio e neanche il naturalismo è accettabile poiché questo vorrebbe dire che basterebbe la semplice conoscenza dei nomi per conoscere la realtà delle cose. Socrate ipotizza l'esistenza di un artefice del linguaggio: il nomoteta (il facitore di leggi) che ha assegnato dei nomi che imitano le cose ma in base a per noi sconosciute motivazioni che potrebbero essere anche errate.
In conclusione per Platone il linguaggio è

Aristotele:
Aristotele tratta in particolare del linguaggio nell'opera di logica intitolata Dell'espressione (o Dell'interpretazione) dove ne descrive le caratteristiche
Aristotele ritiene sorpassata e inutile la polemica sul naturalismo o convenzionalismo del linguaggio: a lui interessa soprattutto la sua portata simbolica, come riferimento alla realtà più che come imitazione delle cose ai fini della conoscenza. L'imitazione operata dal linguaggio, come dimostra la poesia, è infatti un fatto soggettivo, istintivo e libero, fuori da ogni regola di adeguamento alla realtà.
La semplice emissione di un suono non è linguaggio: questo nasce nel momento in cui a quel suono si attribuisce un significato che rimanda a una realtà: Nella struttura del linguaggio, secondo Aristotele, per prima cosa vi è l'elaborazione del concetto che avviene tramite l'immagine sensibile ricevuta dal pensiero, quindi il segno che si riferisce alla cosa.
Aristotele opera così una netta distinzione tra:
Vi sarà un suono ad esempio (che in italiano suonerà come "casa") a cui corrisponderà un concetto (l'idea di rifugio, riparo, luogo coperto ecc., uguale in tutte le lingue, relativa all'oggetto) che avrà il nome di "casa" in italiano, "house" in inglese, "maison" in francese ecc. Mentre nel naturalismo presocratico si stabiliva una rapporto duale tra la cosa e il nome, Aristotele inserisce un terzo elemento: il concetto, il significato.[24]
La verità di una espressione linguistica non è nei nomi ma negli enunciati: se io dico "Socrate", il nome di per sé non ha rilevanza di verità, non è né vero né falso ma se dico "Socrate è ateniese", questo sarà vero se si verifica un'identità tra il piano del linguaggio e quello della realtà, verità che può essere stabilita dal pensiero. È questa attività mentale che conta ai fini del vero; Aristotele è lontano dal relativismo eristico dei sofisti secondo cui ogni affermazione può essere sia vera che falsa:

Questo è l’ultimo che volevo trattare, anche perché nel Novecento, è venuta sempre più delineandosi, soprattutto in area tedesca, una nuova corrente della filosofia del linguaggio distante dall'area logico-strutturalista e dalla cosiddetta filosofia analitica del linguaggio.
La filosofia del linguaggio, intrecciandosi come detto con la semiotica e la linguistica, ha altresì moltiplicato i suoi campi di approfondimento. I principali problemi della filosofia del linguaggio contemporanea sono:
Per certe teorie vivremmo in un mondo di segni: uno sguardo attento troverebbe un aspetto semiotico in ogni particella del mondo. Questa è una ricerca in divenire e ancora piuttosto complessa.
L’oggetto della linguistica o della semiotica.
Un modello elementare del proprio oggetto queste scienze lo possiedono già, per forza di cose, ma la filosofia del linguaggio tiene a porre una serie di precisazioni: la linguistica e la semiotica devono studiare solo l’espressione? O anche l’effetto sul mittente e sul destinatario? Devono studiare i codici o le strutture che reggono i codici? O i contesti in cui sono utilizzati? La filosofia apre così spesso la strada alle articolazioni della semiotica e della linguistica.
Una semiotica globale intenderebbe il mondo come una pura comunicazione. Una semiotica a raggio minore potrebbe invece analizzare solo il campo della cultura come un mondo di significato e significazione: mentre la linguistica non ha questo genere di problema, avendo il proprio campo chiaramente definito, la semiotica deve ancora trovare una stabilità. La definizione di una semiotica ristretta che lasci qualche cosa al di fuori del segno sembra necessaria, ma non è chiaro quali confini si debbano assegnare a questo campo di studi.
L’evoluzione della semiosi e dello studio del linguaggio potrebbe dipendere dallo studio delle basi anatomiche del linguaggio, dell’apparato di fonazione, delle aree del cervello e più precisamente della corteccia preposte al linguaggio, nonché da comportamenti generali che separano l'uomo dagli altri primati pure nell'utilizzo degli strumenti, assimilando il linguaggio ad un tipo particolare di strumento../Alice B/Filosofia del linguaggio - Wikipedia.htm - cite_note-33.
Tutto questo è memoria ai giorni nostri e la vera filosofia del futuro è la “semantica”, che già i Cabalistici usano molto per giocare con le parole in quanto la semantica, è quella parte della linguistica che studia il significato delle parole, degli insiemi delle parole, delle frasi e dei testi. La semantica è una scienza in stretto rapporto con altre discipline, come la semiologia, la logica, la psicologia, la teoria della comunicazione, la stilistica e la filosofia del linguaggio.

La posizione della semantica, studiata nell'ambito di una teoria generale dei segni, diventa più chiara se messa a confronto con la pragmatica e la sintassi.
Si può infatti affermare che:
Oggi si parla, si discute e si crede di comunicare ma la vera comunicazione, che per me significa un’azione in comune, sta nel trasmettere il mio concetto o il mio discorso in modo chiaro, lineare, che crea una sua logica particolare secondo le parole che avrò scelto, alla persona a cui le comunico. Mi viene da aggiungere che dire “io comunico”, significa “io metto in comunione con te e per te il mio dono”.
Le Parole sono un Dono di Dio e sono semplicemente i Pensieri espressi dal Suono, per far Vibrare la nostra Anima e la nostra Personalità, che ci permettono di far risuonare la nostra voce interiore, che viene resa manifesta nell’ambiente circostante e quindi nella Vita stessa.
Quando ciò accade, tutto ha un Tono e da questo “tono di voce” possono apparire chiaramente le emozioni e i sentimenti legati a esso…
Provate a pensare ai rimproveri di vostra madre quando eravate piccoli… Ancora oggi riecheggiano nella vostra memoria cellulare e mentale, ma quello che vi irrita viene scaturito dall’energia inglobata delle vostre cellule fisiche, dato che anch’esse posseggono una loro memoria e questa è visibile tramite l’atteggiamento.
Se volete approfondire l’argomento, potete andare in internet su Wikipedia e cercare le parole mal comprese o sconosciute di questo trattato sulla Filosofia della parola.
Io posso darvi solo un consiglio per la nuova Era che è giunta. Ascoltatevi quando parlate e sentite le parole a voi rivolte. Ascoltate le sensazioni dentro voi e lasciate andare il ricordo e l’emozione che proverete.
Infine cambiate il vostro vocabolario senza più negazioni ed esprimendo il vostro concetto così come si presenta alla vostra mente, perché presto o tardi lo manifesterete attraverso la vostra voce e con le vostre parole.
Si sa: “Le Parole feriscono più delle pugnalate e sono un’arma a doppio taglio”. Se usassi le tue stesse parole per comunicare con te, quante possibilità avrei di far partire un dialogo e quindi una tematica particolare del tuo essere?
Riflettete su questo





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